Clima e decarbonizzazione. La Cina da beneficiario a fornitore di tecnologie green: un’opportunità per l'Europa
Il 15 agosto è la giornata nazionale dell’ecologia in Cina, un tema talmente prioritario per la politica di Pechino da aver inserito in Costituzione l’obbiettivo della conservazione ecologica e della lotta ai cambiamenti climatici.
Ma questi temi rappresentano anche un terreno prioritario della cooperazione tra la Cina e l’Unione Europea. Un rapporto, quest’ultimo, che ha vissuto tre differenti fasi di cooperazione. Una prima tappa comincia dalla fondazione dell’Ue fino al 2012, quando meccanismi di cooperazione tra le due parti vengono progressivamente stabiliti: la protezione ambientale viene scelta quale settore prioritario della cooperazione con la Cina, la quale collabora e stringe intese con i governi di diversi paesi europei, soprattutto del Nord Europa (Danimarca, Finlandia, ma anche Germania). Come si evince dal rapporto Ue del 1995 “A long term policy for China-Europe relations”, l’approccio è basato su un trasferimento di know how dall’Europa alla Cina, in termini di protezione ambientale. Quelli, non dimentichiamolo, sono anche gli anni nei quali la Cina, dopo il rapido sviluppo economico che aveva prodotto un disequilibrio sul lato ambientale, lavora per ricostruire un più avanzato equilibrio tra uomo e sviluppo da un lato e natura dall’altro.
Il rapporto Ue-Cina basato sull’assioma donatore-beneficiario termina nella fase successiva (2013-2020) ma, ciononostante, la cooperazione in ambito ambientale resta un perno delle relazioni tra le due parti e nel 2015 viene siglata una dichiarazione congiunta avente come tema centrale la lotta ai cambiamenti climatici. È in questa fase che si sviluppa un’intensa collaborazione tra la Cina ed il nostro paese che, tra il 2012 ed il 2019, l’Italia ha sostenuto la Cina nell’organizzazione di corsi di formazione annuali sul cambiamento climatico nello sviluppo sostenibile.
Quella che viviamo (iniziata nel 2020) è una terza fase nella quale la cooperazione su ambiente e clima è stata pienamente istituzionalizzata e questi due temi sono stati scelti come fattore chiave della cooperazione bilaterale. E questo anche perché la crescente interrelazione commerciale ed economica tra le due parti ha visto crescere, negli ultimi anni, proprio la componente “green”. Soprattutto, assistiamo all’inversione dei fattori tra donatore e beneficiario: se nella prima fase infatti erano i paesi europei a fornire tecnologia ed assistenza alla Cina (che era un beneficiario netto) in ambito green, ora è la Cina che “esporta” non solo prodotti green di alto livello, ma anche tecnologia e competenze, vista la primazia raggiunta in questo settore. Già oggi Pechino è leader mondiale delle rinnovabili (con il 40% dell’intera capacità solare del pianeta, gli Usa sono al secondo posto con il 12% - dati Rystad Energy) e domina tutti e tre i macro-settori della transizione energetica: filiera delle tecnologie green, distribuzione di rinnovabili e veicoli elettrici ed elettrificazione.
Questo primato è frutto di una precisa scelta consapevole che ha guidato gli investimenti: secondo i dati Bnef, dal 2018 al 2022 la Cina ha speso 329 miliardi di $ nel settore, gli Stati Uniti e l’Ue circa 29 miliardi. Tale primazia si riscontra anche in termini di brevetti: dal 5% di quota di brevetti globali per le tecnologie green nel 2000, oggi la Cina ha raggiunto quota 75%. La primazia sulle auto e batterie elettriche è ben nota e l’Unione Europea sta cercando di attrarre aziende cinesi del settore per venire in Europa e produrre. Nel 2022 la fabbrica aperta da CATL in Germania ha raggiunto la produzione di massa di batterie agli ioni di litio, creando 1500 posti di lavoro. Nel 2023 BYD ha annunciato la costruzione di uno stabilimento in Ungheria per la produzione di auto elettriche (dopo quello aperto nel 2016 e dedicato alla produzione di eBus) e la cinese Chery ha firmato un accordo di joint venture con la spagnola EV Motors per produrre auto nello stabilimento in Catalogna lasciato dalla giapponese Nissan. Anche l’Italia pare fortemente intenzionata ad attirare un produttore cinese, per colmare il gap della produzione nazionale di vetture in ambito elettrico, come testimoniato dal viaggio del Ministro delle Imprese e del Made in Italy prima e dai temi trattati dalla Premier Meloni poi quando si è recata in Cina a fine luglio per il suo primo viaggio ufficiale nel paese.
Il report “X-Change: the race to the top” redatto dal Rocky Mountain Insitute, organizzazione statunitense che si occupa di ricerca e consulenza nel campo della sostenibilità e dal quale sono tratti i dati sopra riportati, ha definito la Cina un “elettrostato”, ossia un paese nel quale l’elettrificazione dell’industria ha raggiunto livelli molto competitivi: nel 2021 la quota di elettricità nella domanda finale di energia nell’industria era del 6% più alta in Cina che negli Usa, sia per quanto riguarda l’industria pesante che quella leggera.
Tutti questi aspetti ci portano a prendere consapevolezza col fatto che Pechino fa da traino alla transizione energetica a livello globale e ne ha abbassato i costi. Nel nuovo contesto geopolitico che vede l’Ue cambiare la sua postura strategica verso la Cina, definendo il grande paese asiatico come un partner, un competitore economico ed un rivale sistemico, per seguire l’escalation di Washington verso la Cina, resta da capire come la cooperazione in ambito green possa cambiare e, dato il mutato rapporto nell’assioma donatore-beneficiario, quanto convenga all’Ue questa nuova situazione.
Soprattutto perché alcuni obbiettivi come quello della decarbonizzazione rischiano di mancare l’obbiettivo: proprio i grandi cambiamenti geopolitici (a partire dalla crisi ucraina) portano a dati sconvolgenti come il fatto che il 2023 è l’anno in cui il mondo ha consumato più carbone, petrolio e gas nella storia dell’umanità (parola del presidente Enel Paolo Scaroni).
Se vogliamo affrontare queste grandi sfide del nostro tempo, avendo sempre bene in mente che l’umanità abita un unico Pianeta, che bisogna saper difendere “come la pupilla dei nostri occhi”, bisogna adottare un approccio politico che metta al centro la cooperazione. Soprattutto l’Europa, può anche provare a ripetere la ricetta della guerra americana alla Cina (dazi, guerra commerciale, tariffe etc.) ma rischia di mancare i propri obbiettivi nella lotta al cambiamento climatico ed alla riduzione delle emissioni, perdendo la sfida necessaria al riequilibrio del rapporto tra uomo e natura. Una sfida che non riguarda solo i princìpi ma investe anche l’economia: l’anno scorso i soli eventi atmosferici estremi hanno causato perdite economiche in Europa per 13,4 miliardi $.
La giornata nazionale dell’ecologia è quindi un’occasione preziosa di riflessione anche per le nostre classi dirigenti, a cui chiediamo di avere a cuore l’ambiente e la cooperazione internazionale insieme. Perché assieme possono provare a fornire un contributo utile alla nostra vita.